Metamorfosi femminile del dolore
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Il dolore è un’esperienza soggettiva, non ci sono parole condivise in grado di raccontarlo né strumenti adatti a misurarlo. A differenza di quello acuto il dolore cronico, generalmente, non lascia tracce visibili ma segna profondamente l’animo. I rimedi della medicina tradizionale, il più delle volte, non sono sufficienti. Ci vuole qualcos’altro che stacchi il corpo da terra per interrompere i girotondi del pensiero che alimentano il dolore.
Il dolore narrato o rappresentato per immagini esercita una funzione catartica quando evoca nell’osservatore/lettore quello stato di sim-patia estetica che stacca il corpo da terra. Ancora prima della parola scritta l’uomo ha affidato ai graffiti il suo pensiero e, nell’atto del creare, si è cercato e ritrovato. La non accettazione del corpo che si trasforma invecchiando o che subisce mutilazioni da malattie/traumi è causa di sofferenza.
Chi davanti al neonato raffigurato da Lucien Freud con il volto già vecchio dell’uomo in fieri, non ha condiviso con l’artista la sofferenza per le trasformazioni che il corpo subisce invecchiando? Chi non ha provato disagio alla visione del corpo di Frida Kahlo frantumato dal trauma stradale e ricostruito per trenta volte in sala operatoria? L’arte rende sostenibile o addirittura allontana, almeno temporaneamente, il dolore; scrivere è un piacere profondo……nessuno potrà dire di me ch’io non abbia conosciuto la perfetta felicità…non saprei immaginare nulla di meglio…. si legge nei diari di Virginia Woolf e noi condividiamo quel piacere leggendo le sue opere: Mrs. Dalloway, Gita al Faro, Le Onde…
Le metamorfosi femminili attraverso il dolore sono visitate nelle opere di tre artiste vissute tra ottocento e novecento. Nel passaggio tra i due secoli, la donna viene a trovarsi al centro di una rivoluzione copernicana: dismette le vesti d’angelo del focolare per confrontarsi nell’ambito della coppia e del sociale con pari dignità e libertà; questo cambiamento, anche se accettato e condiviso nell’ambito della coppia e della società continua, ancora oggi, ad essere motivo di sofferenza psichica e di somatizzazioni dolorose fino a sconfinare, in qualche caso, in atti di segregazione e di estrema violenza.
A differenza di Frida Kahlo, pittrice, il cui talento è stato riconosciuto e celebrato in vita, Camille Claudel, scultrice, è morta senza riconoscimenti e in povertà dopo trenta anni di segregazione in un ospedale psichiatrico. L’arte dello scrivere che, a lungo, aveva aiutato Virginia Woolf a ritrovare il piacere del vivere, nulla ha potuto contro l’immiserimento totale provocato dal secondo conflitto mondiale che l’ha portata a lasciarsi avvolgere dalle acque del fiume Ouse il 28 marzo del 1941. Il progetto è realizzato in collaborazione con il Centro Donna e il Centro Culturale Candiani.